Gli eletti Cinquestelle non sono né onorevoli, né senatori, né generici cittadini. Sono incalliti teledipendenti. Loro hanno una naturale repulsione nei confronti della tv come un adolescente brufoloso odia la propria mamma. Perché è con il tubo catodico che si sono formati, sostituendo con esso il cordone ombelicale; è lì che hanno costruito la loro visione politica e la loro muscolare antipatia.
Non è un caso che la capogruppo Roberta Lombardi, al primo faccia a faccia istituzionale con Pierluigi Bersani, diceva di sentirsi come in una puntata di Ballarò.
I Cinquestelle, di fatti, hanno avuto solo contatti con la rappresentazione mediatica della politica, che non sono sono in grado di distinguere dalla realtà. Si sono nutriti della bava alla bocca e della bile del telespettatore di Ballarò e di Annozero, hanno preso una laurea in scandali de Le Iene ed un master in Che Tempo che Fa e Parla Con Me. Hanno seguito il catechismo di Voyager ed hanno preso la comunione di Mistero, su Italia 1.
Il loro cruccio più grosso è quello di contare le caramelle e scoprire i segreti celati dalle mani che tappano le telecamere degli inviati televisivi. Com'è possibile, oggi come oggi, recuperarne l'animo sano e responsabile? Loro si sentono ancora come fossero sulla poltrona di casa, col telecomando e l'apriscatole in mano, tant'è che i due leader non sono nemmeno in Parlamento. Si prenda ed esempio Chi vuol essere milionario: il pubblico a casa conosce tutte le risposte. I grillini in Parlamento rappresentano quel pubblico che irrompe in trasmissione per menare Gerry Scotti dopo decenni di risposte rimaste sulla punta della lingua. Ecco che si spiega la loro supponenza, la loro arroganza e l'antipatia a fior di pelle. Per questo motivo non voteranno mai la fiducia ad un governo e non presenteranno disegni di legge, almeno finché non saranno certi che nessuno avrà mai voglia di prenderli in esame.
I capigruppo Cinquestelle, invece, trovano il loro prototipo in Ambra Angiolini ai tempi di Non è la Rai. Prendere ordini a distanza attraverso un auricolare è il massimo della democrazia per Beppe Grillo. La parvenza di spontaneità è parte del gioco, come per le teenager ballerine - cantanti in playback del programma di Gianni Buoncompagni.
La fissa della rendicontazione assoluta non è funzionale alla creazione di una "casa di vetro" per le istituzioni, ma solo il cavo del joystick per il personale videogame di Grillo, una specie di arcade "sparatutto" bidimensionale. Una è la "dimensione vaffanculo" e l'altra è la "dimensione Kasta". Lo scopo del gioco, naturalmente, è sparare senza sosta. I bersagli mobili sono raffigurati da "schizzi di merda digitale", pixel color marrone, sempre in due dimensioni, dietro i quali si celano fake, trolls e cloni. A questo si riduce il dibattito politico nell'era della democrazia dal basso.
L'enorme massa di debiti dello Stato nei confronti delle imprese, molte delle quali letteralmente boccheggianti, il cui parziale sblocco è una delle innumerevoli e drammatiche urgenze improcrastinabili per il Paese, rappresenta solo un ambiente di gioco in 16 bit inerte e disattivato nella dinamica dello sparatutto.
La cittadinanza, trasformata in "popolo del web", è ridotta a pochi impulsi elettronici disattivabili con un segno di spunta su un forum, con la facilità con cui si banna un account o si cancella un commento sgradito.
La trasparenza, degenerata in cultura del sospetto, diventa strumento per nuove e perverse forme d'autoritarismo.