mercoledì 20 febbraio 2013

Dimissioni Giannino, ha vinto la parte peggiore del partito



Procediamo con ordine.

1. nasce Fare per Fermare il Declino, un partito con un nome ridicolo e sbagliato, attivisti non sempre simpatici ed affabili (anzi quasi sempre repulsivi sul lato umano), ma idee tutte condivisibili anche se non complete di valori non strettamente legati al modo di ragionare "economico". 

2. a un mese dalle elezioni ritengo che la lucida follia di questo partito, pur nelle tante contraddizioni e problematiche che lo affliggono, sia da supportare. E lo faccio in modo esplicito. Ovviamente, nella speranza di una maturazione del partito in qualcosa di più completo, magari interessato a tematiche non superficialmente bollabili come economiche (vista la palese irrazionalità di un simile distinguo).

3. a una settimana dalle elezioni salta fuori che il candidato premier, leader e uomo immagine del partito non ha un master a Chicago. Ora, conosco tante persone competenti, felicemente sposate e addirittura con figli che non hanno mai frequentato lezioni a Chicago. Capita, non ne fanno un dramma. Certo, qualcuno di loro sarà pure in psicoterapia, magari per altri suoi problemi lievemente più seri. Però, a parte le cazzate che si raccontano su Badoo solo per abbordare, nessuno di loro si sogna di spacciarsi per specializzato a Chicago. Giannino sì, ma questo non mi ha impedito di sostenerlo con convinzione. 

4. subito dopo la storia del master, qualcuno inizia a chiedergli delle due lauree. Giannino risponde di non averle mai conseguite. E' legittimo, quindi, sentirsi leggermente presi per culo. Allora ho chiarito alla pagina 777 del televideo (e con questo simpatico articolo) che non scherzavo quando dicevo che m'importa non della persona Giannino ma del suo programma, condiviso da un movimento di centomila aderenti (tra i quali il fesso che sta scrivendo, che ha firmato il Manifesto il giorno stesso della sua pubblicazione!). Pertanto, auspicavo ad un'ultima botta di reni per arrivare a questo benedetto sbarramento, ma con una testa nuova. Ossia, buttando al macero la componente giacobina, spocchiosa e presuntuosa del partito, finora drammaticamente prevalente.

5. sostenere ancora Giannino sarebbe stato un grande gesto di perdono, una prova di liberalismo, un importante atto simbolico a cui associare un mea culpa che avrebbe dovuto essere fatto da tutti gli fondatori del movimento. Si può presumere, infatti, che durante qualche cena elegante avessero già fatto ad Oscar una mezza domanda sui tempi dell'Università, anche solo per parlare di fregna. Ammesso che tra luminari si possa parlare della fregna rimorchiata, visto che quest'ultima non rientra le priorità economiche del Paese. 

Cosa succede oggi.

La Direzione si è orientata da tutt'altra parte, accogliendo le dimissioni del giornalista e sostituendolo immediatamente. La scelta più bacchettona possibile. Giannino viene presto sostituito con una donna, giusto per rimarcare il gap antropologico con gli altri partiti ("vedete? Noi sbagliamo e, per flagellarci, scegliamo una donna al volante, in remissione dei nostri peccati"), la comunicazione del partito, da un millesimo di secondo dopo la sostituzione, è boriosa e piena di rabbia (partono i soliti insulti ad Abberlusconi e al centro, tanto per cambiare). Non si nomina la nuova leader senza dimenticare per un attimo il suo titolo di abilitazione professionale: la parola "avvocato" diventa una specie di copertina di Linus della nuova fantastica Presidentessa. So che manca poco all'indicazione del suo Foro d'appartenenza, partita iva, indirizzo p.e.c. e crediti formativi accumulati quest'anno. Tra non molto dialogheremo direttamente con il suo Consiglio dell'Ordine d'appartenenza che dovrà testimoniare la lealtà e probità dell'avvocato. Il partito, invece di guadagnare punti in garantismo, inizia a gareggiare nell'unica disciplina olimpica più cretina della gara a chi ce l'ha più lungo: la gara a chi si dimette prima ("Noi siamo i migliori, ci dimettiamo al primo rutto che facciamo, neanche la bocca devi aprire e già facciamo un passo indietro e per poco non ci suicidiamo come i samurai").

Con un episodio increscioso e sgradevole come quello accaduto a Giannino, per colpa di quest'ultimo (è bene ricordarlo), il partito avrebbe potuto ammettere l'imperfetta umanità del suo leader ed andare avanti riformandosi, ossia completando la sua evoluzione, sposando i valori della tolleranza, del garantismo e l'insofferenza ad ogni forma di etero-determinazione dei propri candidati per mezzo degli scandali strettamente strumentali alla destrutturazione del movimento. Al contrario, il partito ha deciso di scaricare Giannino, imboccando la strada diametralmente opposta da quella da me sperata e suggerita. Ma vi è di più. Con quest'atto di dimissioni-record (come fossero un merito) si è trasformata un'occasione per delle umili scuse (da parte di tutto il partito) in un pretesto per fare delle dimissioni addirittura un motivo di vanto. 

Ora siamo al paradosso: la superiorità intellettuale ed antropologica è alle stelle, Michele Serra addirittura scende in campo in difesa di Fare (già questo è per me un buon motivo per non votarlo), si è creato un precedente fulminante, secondo cui nessuno può mai andare esente da atti di suicidio dimostrativo, nemmeno a quattro giorni dal voto. E l'immagine del partito oggi, non è solo sporcata dalle balle, è anche incattivita da un volto vendicativo, puntiglioso e più sbruffone che mai. 

Fare per Fermare il Declino oggi è come una scultura così perfetta che riesce a spaventare lo stesso scultore da cui è stata intagliata. Per poi divorarlo. Anche la più sublime delle opere d'arte è solo una creazione, una "cosa", fatta da un uomo, a sua volta imperfetto, che immancabilmente sbaglia, ma può redimersi e forse anche per questo può fare tanto di buono per gli altri oltre che per sé stesso. L'implacabilità della punizione, invece, né cancella né dissipa gli errori, semplicemente autorizza il boia a guardare avanti con la solita megalomania, senza porsi domande, senza nemmeno un minimo esame di coscienza, che pur sarebbe doveroso. Da parte di tutti.

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