mercoledì 15 agosto 2012

Lettera di un operaio ad un giudice penale


I signori giudici vorranno scusare il mio modo di scrivere. Io non ho studiato, non ho potuto. La vita mi ha riservato poche cose ed a quel poco non si poteva rinunciare. Non potevo scegliere, se avessi potuto non avrei comunque potuto cambiare niente, perché in certi guai ci si nasce e le alternative, specialmente in una regione del sud, non esistono.

Faccio, anzi, posso dire che ormai facevo l’ “operaio” in una delle realtà economiche più importanti d’europa, in quella che -fino a ieri- era considerata una vera e propria forza trainante per la mia regione.
La “cosa” che voi giudici contestate né si tocca e né si vede. Mentre il pane che portiamo a casa non solo si tocca e si vede, ma non c’è altro modo per portarlo, in un paese senza alternative e dove dall’oggi al domani spuntano nuovi “mali” e nuovi reati. 
Fino a non troppo tempo fa il “male” di cui parlate non esisteva. Avete percepito il pericolo che corriamo solo quando i giornali nazionali hanno iniziato a parlare dei morti.
Vi siete mai chiesti se non sia tutta una macchinazione contro una delle poche attività efficienti del nostro Paese?
A volte, lo ammetto, i mezzi impiegati richiedono un certo sacrificio e a qualcuno possono sembrare poco congrui, però non c’è altro modo per fare le cose per bene.
Almeno, così dicono i padroni. E noi che ci possiamo fare? Dicono che, diversamente, non si cresce e non si diventa la potenza economica che hanno messo su loro adesso.
Al governo, finché c’era da trarre vantaggio dai legami politici con i nostri capi, gli è andata bene.
Ora che tutti parlano delle cose nostre, il governo sembra essersi disinteressato abbandonandoci al protagonismo di alcuni dei vostri colleghi. Giudici che, per apparire sui giornali, sarebbero disposti pure a bloccare una attività d’importanza strategica per il sud come quella nostra. E così hanno allestito questo spettacolo.
Ho sentito che il loro show è stato criticato anche da tanti loro colleghi e da tanti politici. Se solo avessimo un vero sindacato dalla nostra parte o un vero partito!
Ebbene, a proposito di politici, i pezzenti che stanno a Roma farebbero bene ad intervenire. Non possono lasciare le nostre famiglie in ballo dell’iniziativa dei vostri colleghi galletti. Devono fare il loro lavoro, e cioè mediare, trattare, trovare una soluzione politica per chiudere questo processo che rischia di fermare per sempre la nostra attività mettendo fuori uso tutti i nostri stabilimenti e buttando sul lastrico migliaia di famiglie.
Che sia necessaria una soluzione politica lo dicono tutti, non solo gli imputati o chi lavora per loro.
Il governo non può stare a guardare mentre si fa a pezzi il sud. E, se c’è bisogno, deve essere pronto ad investire di tasca sua.
Ciò che manca oggi è qualcuno che abbia le carte in regola per trovare un punto d’accordo e che metta a tacere, non dico questo processo, ma almeno quelli che verranno. Sono in ballo troppe famiglie per poter applicare in modo così rigido la legge.
Se le nostre ragioni passeranno in second’ordine rispetto ad altri presunti “valori” assisteremo man mano allo smantellamento di tutta l’economia italiana. E tutto questo dev’essere fermato, il nostro lavoro deve andare avanti ad ogni costo. 
Il mio auspicio è che questa cosa nostra, un giorno, quando ci saranno le condizioni, torni nelle mani dello Stato come lo era tempo fa. Così, di sicuro, non parlerà più nessuno né dei morti né dei pericoli che tutti nella nostra zona sono costretti a correre.
Quand’è lo Stato a fare le cose non c’è nessun problema.
Quella nostra è un’attività rischiosa, non c’è dubbio. Un’attività pericolosa e per cui c’è bisogno di fare i conti con la propria morale. Ma, se l’unica alternativa è morire di fame, non ho dubbi sulla mia scelta. La rifarei mille volte ancora. Non sarà questo “maxi processo” a farmi cambiare idea. 
Palermo, 10 febbraio 1986.

p.s. la lettera ovviamente è un falso a scopo satirico, e spero di non doverla spiegare

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